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In tutte le Arti Marziali è concezione comune considerare il saluto come prima comunicazione fra i praticanti ed è una dimostrazione di rispetto reciproco.
Il saluto trae le sue origini dal profondo e primitivo cerimoniale dei popoli orientali. Non bisogna dimenticare che, nonostante oggi il Judo, il Karate e simili siano sport molto diffusi in occidente, originariamente erano Arti Marziali: discipline di guerrieri con un ferreo codice d’onore. Non tenere presente tutto questo sarebbe senza dubbio un’offesa molto grave all’essenza stessa dello spirito orientale e anche una forma di disprezzo per l’essere umano come tale.

La varietà dei saluti è grande quanto il numero di arti marziali esistenti; fra tutti i tipi, due sono i più diffusi: il saluto eseguito in posizione eretta e quello in ginocchio. In Oriente è loro riservata un’attenzione quasi religiosa, mentre da noi questo significato viene mano a mano sostituito dai valori socioculturali propri dei popoli occidentali. tuttavia è curioso osservare come, fra i molteplici significati del saluto, ovunque si tenda a riconoscerne uno particolare e importantissimo: rispetto e considerazione per il praticante di grado superiore; dedizione e disponibilità verso il praticante di grado inferiore.

È buona norma, all’inizio e alla fine dell’allenamento, salutare il fondatore dell’arte marziale praticata e il maestro; il compagno quando iniziamo o terminiamo qualsiasi esercizio in coppia; la bandiera del paese e il luogo dell’allenamento. Se il saluto non è corretto, non lo sarà neanche l’arte marziale praticata. La meditazione è praticata all’inizio e alla fine dell’allenamento e precede il saluto. Raggiungere un buon rilassamento del corpo e della mente mediante il controllo della respirazione è proprio del praticante esperto. Egli si armonizza e si predispone ad un buon allenamento.

Entrando nel dojo ci spogliamo dei nostri abiti per indossarne altri adatti alla pratica. Questo sta a significare chiaramente l’abbandono della propria condizione “profana”, per assumere una condizione nuova: da “iniziato”. In principio sarà solo ed esclusivamente “un iniziato” alla pratica marziale, ma procedendo nella Via, i significati cambiano in virtù dei progressi raggiunti.Oggi non si saluta all’entrata del dojo, questo ha ormai assunto il significato di “palestra”, come luogo di ritrovo e di pratica. Perciò si saluta soltanto nell’accingersi a salire sul tatami.
Il primo saluto, all’entrata del dojo, dovrebbe poter intervenire su di una presa di coscienza della necessità di chiudere una porta alle nostre spalle, chiudendo così ad una condizione profana, lasciando tutto fuori.
Con il secondo saluto apriamo invece ad una condizione nuova, si acquisisce la presa di coscienza di un mutamento in noi.

saluto karate
saluto karate

Per meglio esprimere il significato ci disponiamo tutti in linea, “tutti sullo stesso piano”. Si viene a far parte di una catena dove tutti gli anelli sono formati da ogni allievo. La catena di un dojo si ricongiunge idealmente a tutte le catene degli altri praticanti. Simultaneamente impersona tutti coloro che in essa ci hanno preceduto. Il nostro piccolo io viene sostituito dalla consapevolezza di far parte di un organismo molto più grande di noi che supera i vincoli di tempo e spazio. In pratica ogni volta che ci disponiamo per il saluto, si crea un cerchio magico atto ad operare mutamenti sul nostro piano di coscienza. Basta avere la consapevolezza di ciò per realizzarlo. Come detto la linea di saluto forma nel suo complesso ideale un cerchio dove tutti sono uniti. Il cerchio è la rappresentazione dell’universo. L’uomo ha da sempre osservato il cielo per comprendere l’armonia che lo governa e per poterla riproporre in terra.

Se andiamo ad osservare la disposizione della fila del saluto, vediamo che questa procede verso destra, imitando il moto apparente del sole. Le cinture bianche man mano si aggiungono a sinistra e procedono verso destra con l’andar avanti nei progressi, ed il loro posto viene assunto da nuove cinture bianche. Le cinture nere si trovano all’altra estremità della fila. Nel rappresentare il movimento del sole, le cinture nere si configurano allo zenit: il punto di massima luce del nostro astro. L’insegnante collocato di fronte alla fila, rappresenta (molto impropriamente) il punto centrale dell’universo; il punto dove tutto gira intorno, mentre il centro è immoto. Questo è il posto dell’asse del mondo, atto a collegare la terra con il cielo. È l’albero del salice con le radici in cielo ed i rami in terra. L’insegnante posto in tal punto ha la funzione di mediatore; è colui che con la forza del proprio rito richiama il cielo in terra e porta la terra in cielo.

Nella tradizione cinese questo era il compito dell’imperatore, di volta in volta assunto dai saggi dell’antichità. Soltanto coloro dotati di vera forza virile possono spostare il cielo in terra e viceversa. Ecco perché questo compito venne affidato nell’antichità ai maestri di Arti Marziali. Essi dovevano creare le condizioni di crescita attraverso la pratica, affinché fosse sempre possibile rinnovare la catena dei mediatori con il cielo.

In che cosa consiste (oggi) questo rito? Iniziamo con l’analisi del saluto. L’insegnante dapprima sta eretto, in asse tra cielo e terra. La parte alta, rappresentata dalla testa, va verso il cielo, ed è “uno”. La parte bassa, rappresentata dai piedi, poggia in terra ed è “due”. L’uno si scinde in due. L’uno è molteplice; lo Yin e lo Yang della tradizione cinese. Proseguendo, l’insegnante scende sui quattro punti di appoggio (ginocchia e piedi). Il quattro è il simbolo della terra. L’universo è rotondo e perfetto, la terra è quadrata ed imperfetta.

Proseguendo nel rito, il maestro poggia a terra davanti a sé, il palmo della mano sinistra con le quattro dita tese ed il pollice aperto, formando così un mezzo triangolo che viene completato dalla mano destra poggiata a fianco della sinistra. Così si forma un triangolo equilatero.

Dal quaternario si passa al ternario rappresentante i tre poteri divini: Creazione, Conservazione, Distruzione. In India sono indicati come Brhama, Visnù e Shiva: la sacra Trimurti. Con quest’ultima operazione si realizza il settenario. Il rito giunge così nella sua parte centrale. L’insegnante poggia il centro della fronte all’interno del triangolo. Il centro della fronte rappresenta il “Bindu”; un seme che racchiude tutte le potenzialità. È il pensiero dell’Assoluto ancora inespresso, la massima forma più vicina all’Assoluto stesso concepibile dall’uomo nella sua forma terrena. Il seme viene simbolicamente portato a terra, formando un punto di congiunzione tra l’Assoluto e noi. Dopo ciò il maestro percorre il rito a ritroso, proponendo tutti i gesti all’inverso. È implicito il significato del ribaltamento che avviene in tutto ciò che viene dal cielo raggiungendo la terra. La forma del cielo è tonda e perfetta sulla terra è quadrata ed imperfetta. Però per analogia quello che in terra viene quadrato, può tornare al cielo nella forma originaria. L’insegnante procede proprio a questo; perfezionando il rito fa elevare la terra al cielo. Sul tatami si opera per smussare tutte le asperità del proprio piccolo io, affinché si possa essere quadrati ed inseriti in una costruzione più grande di noi, per essere ribaltati e tornare alla forma originaria. Alla fine del lavoro di dirizzatura dell’io, sul tatami si procede al saluto finale. Se prima si è portato il cielo in terra adesso si porterà la terra al cielo, per quel tanto o quel poco che saremmo riusciti ad ottenere. L’importante è che questo sforzo venga guidato ed indirizzato da insegnanti inseriti nel solco della tradizione, altrimenti sarà mero esercizio fisico. Riepilogando, possiamo dire che il saluto sul tatami ha una struttura simbolica che vive e si rinnova ogni qualvolta viene messa in essere. Portando il praticante ad acquisire stati di coscienza sempre più elevati. In questo modo l’alto comprende il basso, ma il basso non sa comprendere l’alto; può solo sperimentare lo stato di coscienza del piano sul quale si pone. Da ciò si deduce che essere per la via, non significa sempre ed automaticamente essere sulla “Via”. Molte strade girano invano nel piano, soltanto una porta in alto ricongiungendo la terra al cielo.

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